Claudio Servetti


Grande appassionato di cavalli e di montagna. Calmo, entusiasta e riflessivo. Guida chiunque in sicurezza su qualsiasi tipo di terreno. Lunga esperienza nell'alpinismo, ha gestito in passato alcuni rifugi alpini. E' nell'Alpitrek dal 2000.

Guida a cavallo riconosciuta dalla Regione Piemonte dal 2003.












Per non dimenticare

Ho conosciuto degli Uomini.
Ho letto sulla vita di quel meraviglioso popolo dei nativi Americani.
Gli Uomini che ho conosciuto avevano portato anche loro una penna in testa, per un breve periodo, ma mi dicevano che chi la porta una volta è per sempre.
Erano uomini veri, miti, forti, fieri di appartenere alla loro terra.
Anche gli indiani d’America lo erano.
Sono partiti per terre lontane per servire il loro paese , sono partiti perché dovevano, gli era stato ordinato e loro hanno obbedito.
Erano uomini di montagna e d’avventura; non se l’erano scelta ma l’hanno vissuta con dignità e coraggio.
I loro visi potrebbero entrare nelle pagine di Edward S. Curtis e confondersi con i ritratti dei guerrieri più famosi, stessi sguardi, stessi lineamenti, stessa fierezza e Semplicità.
Essenza di Semplicità, senza fronzoli.
Essere e non avere.
Essere e non apparire
Coscienti di essere un sassolino  della grande montagna della vita.

Orgoglioso di appartenere alla stessa tribù.

Dedicato a:
Servetti Giorgio 1917-1996, Alpino della Cuneense, trombettiere, chiamato nel 1938, al Tenda sul confine italo-francese, Passo della Mendola e Bolzano, deportato in Polonia a Birknau per 25 mesi, rientrato a casa nel settembre 1945.
Servetti Michele 1919-1969, Alpino nella Cuneense, chiamato nel 1939, Passo della Mendola, campagna in Albania, Grecia e Russia, rientrato a casa a metà del 1943.
Servetti Battista (Tino) 1921-1993, Artiglieria Alpina della Cuneense, conduttore, chiamato nel 1938, Passo della Mendola, campagna in Albania, Grecia e Russia, rientrato a casa a metà del 1943
Servetti Antonio 1922- disperso, Alpino della Cuneense, sciatore portaordini, chiamato nel 1941 e disperso in Russia nel 1943.
Servetti Giovanni 1931- 2009, Volontario in Guardia di Finanza, produttore di vino Barolo in Sorano di Serralunga d’Alba, memoria storica della famiglia.

Riflessioni

Vedo sprecare la vita come se ce ne fosse un’altra subito dopo.
Vedo far carte false per dieci giorni di vacanza in un "posto esclusivo”, come se i villaggi non fossero identici in ogni parte del mondo.
Vedo avventurosi sportivi, marziani nei loro equipaggiamenti tecnologici, mitici eroi dell’ ufficio del quinto piano.
Avventurieri di oggi, avventurieri con airbag.
Avventura sì ma con  moderazione, passeggiate nei boschi con satellitare appeso al collo che se ti perdi ti riporta indietro, sei talmente concentrato a guardare quel coso che non hai il tempo di vedere intorno a te, fischietto e telefonino pronti all’uso in caso di emergenza, equipaggiamento estremo, e ovviamente sempre in compagnia perché non si sa mai e da soli non è prudente.
Sono cresciuto a pane e romanzi di Bonatti, Messner, Wilburn Smith, mi addormentavo sognando avventure,  speravo di poterli imitare non  tanto per il successo della vetta o della meta raggiunta, quanto per il loro cammino interiore, scoprire quanto la volontà di raggiungere un obiettivo sia così forte da trovare in te quelle energie inaspettate, sopite in attesa di un risveglio, la sensazione di vivere con pienezza e la consapevolezza che non è importante quanto vivi ma come vivi.
La vita negli alveari ha ridotto gli uomini a cibarsi di consumismo, ricerca dell’avere e non dell’essere, desiderio profondo di apparire a tutti i costi.
Ho ben fissato nella memoria i racconti dei vecchi (e mi piace "vecchi” e non "anziani”) della loro vita semplice di contadini e montanari,  ho fatto ancora in tempo ad assaporare un poco di quel vivere di una volta, di una tempo appena dietro  l’angolo,  dell’altro ieri.
Perché è cambiato tutto così in fretta?
Perché non ci sono giovani che guardano  montagne in una giornata di vento sentendo i brividi lungo la schiena,  giovani che sotto la pioggia infilino un vecchio paio di scarponi per andare,  che si spingano  oltre le cose facili e comode scrollandosi di dosso la pigrizia assassina, la comodità antagonista della stanchezza,  della sofferenza e del  freddo.
E invece si sente solo e sempre un gran parlare, tutti parlano, continuano a parlarsi addosso e tutti sanno e sanno tutto e di tutto e di tutti.
Perchè nessuno fa?
Genitori senza sangue, sportivi da televisione non riescono a trasmettere nessun interesse, nessuna passione  vera, quella che  brucia dentro, nessun accenno di sana pazzia.
Abbiamo  tutto a portata di piede, non troviamo scuse, scopriamo le nostre montagne,  sono qui dietro l’angolo, basta cominciare a camminare.
Un passo dietro l’altro per scoprire un mondo nuovo.
Uno zaino e un buon paio di scarponi comodi per partire e scoprire sentieri senza fine e senza tempo, valli dimenticate, storie di uomini,  la nostra storia, per non dimenticare  mai che  per sapere dove si vuole andare occorre conoscere da dove si viene.

Indi (cacciatore di Orsi)

dodici anni insieme
vecchio amico,
vorresti continuare ad accompagnarmi, non ti fidi ancora,
vorresti  essere lì  a controllare che tutto vada bene,
ogni volta che mi vedi prendere gli scarponi  hai un fremito di giovinezza, sei pronto a partire,
come da sempre,
dimentichi  per un attimo la stanchezza,
che le gambe non ti portano dove vorresti,
che devi  fermarti  a riprendere fiato anche se  il tuo cuore  è grande.
Quanti ricordi di avventure, solo noi tre e le nostre montagne.
Sei stato un buon compagno di viaggio, sempre al mio fianco,
c’eri e basta.
eri lì vicino. Con me sempre.
Grazie per la tua amicizia grazie  per avermi amato, comunque.
Saggezza di  vecchio amico.
Ti porterò nel cuore.

    

  Dal Santuario del Selvaggio di Giaveno al Rifugio Val Gravio e ritorno.
USCITA del 23/24 giugno 2001

Impressioni:
Bella avventura  in compagnia di Indi e Brown. Insieme ai miei fedeli e silenziosi compagni abbiamo dovuto
trovare il percorso più sicuro in un territorio poco frequentato.
Il paesaggio è stupendo e il tempo è stato meraviglioso, la serata con Luciano e i suoi ospiti piacevole. I ricordi degli anni passati al Rifugio cercando di vivere di Montagna sono riemersi. La melanconia a volte ha preso il sopravvento. E’ stata  un periodo  importante della mia vita mi e dopo più di venti anni sono ancora a cercare di scoprire qualcosa di me, a confermare quello stile di vita e quei valori che mi appartengono e a cui non posso fare a meno.

 
Asini e Cavalli

Un sacco di volte durante i nostri giri ci capita di incontrare persone di tutte le specie, cercatori di funghi, escursionisti, boscaioli o semplicemente cultori dei quattro passi che fanno bene.
Tutte le volte, inquadrato il personaggio di turno, sono a domandarmi che cosa mi dirà.
Ho l’abitudine si salutare quasi sempre, in modo particolare le persone che vedo più vecchie di me.
E’ un vecchio baluardo di educazione, mi hanno insegnato (e lo trovo giusto) che il giovane saluti per primo per un senso di rispetto, non riesco a dire ciao a chiunque come fanno le mie figlie, e con un buongiorno o un salve mi trovo più a mio agio.
Le reazioni dei viandanti sono diverse, quella che preferisco in assoluto è un sorriso cordiale e devo riconoscere che succede abbastanza spesso, magari accompagnato da un "che bello” che spero si riferisca alla mia persona ma mi accorgo subito dopo che non parlavano di me, altri ti passano a fianco facendo finta di niente come se andare a cavallo in uno stretto sentiero fosse la cosa più normale di questo mondo, poi ci sono coloro che sono infastiditi dalla tua presenza e allora abbassano lo sguardo e ti ignorano.

Ma la categoria più comune (purtroppo) è quella che appena ti vede si ferma, ti guarda e dice:
"…e già così sì che è facile, cosi sono capaci tutti…”.
Tutte le volte rimango basito e non riesco a trovare le parole giuste per controbattere alla frecciata.
Ho provato anche ad allenarmi a casa per poter fronteggiare l’affermazione ma non ho trovato ancora la risposta giusta.
Di cose da dire ce ne sarebbero, ad esempio che tenere un cavallo è un impegno importante ed è una scelta di vita: tutte le mattine e le sera accudirlo, alimentarlo, tenerlo nel pulito. Attenersi a tutte le normative burocratiche e veterinarie, compilare registri in quattro copie per poterlo trasportare, insomma, alle volte ti sembra di possedere una tigre del Bengala e non un cavallo.
Sperando inoltre che in una giornata di luna storta o per uno spavento, non ti tiri giù o che non molli un calcione a chi si avvicina senza pensare che non è propriamente un barboncino.
Fino ad adesso, grazie al cielo, godo di buona salute e non ho nessun problema a camminare a lungo, chi viene con noi dell’Alpitrek potrà confermare che alle volte si marcia di più di quanto si stia sopra al cavallo.
Ho macinato un sacco di strada in montagna, sono ormai più di trent’anni che prima come  escursionista, poi alpinista e ora come cavaliere (nel senso di andare con il cavallo) continuo imperterrito ad essere innamorato di montagna. Talmente innamorato da andarci a vivere e non c’è una sola mattina che il mio sguardo non si posi sulle vette della nostra Val Sangone e ne rimanga affascinato dalla loro bellezza.
Vorrei far capire loro che non sono uno sfruttatore di animali, vorrei dirgli che nonostante il cavallo abbia accompagnato l’uomo da millenni ora da mezzo di trasporto è diventato compagno di avventure.
I nostri cavalli non vivono in angusti box di tre metri per tre, hanno a disposizione spazio per correre, erba fresca o buon fieno tutto il giorno e la scelta di rimanere al riparo dalle intemperie, oppure di godersi la pioggia o la neve.
Noi amiamo i nostri cavalli ma non siamo animalisti, ci piace trattarli con rispetto ma sappiamo che come nelle belle amicizie o matrimoni riusciti, ognuno deve fare la sua parte.
Non chiediamo agli amici di darci quello che non possono, i cavalli sono i nostri compagni e non lo chiediamo neanche a loro, ma non ci sentiamo nemmeno in colpa perché hanno lavorato da mattina a sera.
Credo sia peggio lasciarlo morire di noia in un box o farlo saltare a tutti costi quando è evidente che la sua conformazione fisica sicuramente non lo predispone, rispetto a lavorare in serenità, al passo su un buon sentiero.
Ma non importa, perché mettersi a discutere o tentare di far comprendere un punto di vista differente, sorrido e vado oltre, dopo qualche metro i pensieri tornano a vagare per i fatti loro, non mi ricordo più le facce incarognite, è stata una piccola nube che ha oscurato il sole, solo per un attimo.
Meglio sarebbe stato se mi avessero detto che era molto strano vedere un asino in sella ad un cavallo, in parte avrebbero avuto ragione.

Invernale 2009
 
Lunedì 6 aprile.
Sono inebetito davanti al computer, come sempre cerco di fare del mio meglio ma oggi non c’è la faccio, non riesco ad ingranare la marcia, non sono del solito umore.
La melanconia mi pervade, è una bella sensazione.
Un misto di pace, di star bene ma anche di rimpianto di questi tre giorni insieme.
Vedo la Sacra dalle finestre del mio ufficio e mi tornano in mente le parole di Don Giuseppe,”qui le pietre parlano”  i millecinquecento anni di storia, gli intrecci di vite con le loro speranze, i loro amori, le loro colpe da espiare, le gioie e i dolori.
Mi sento fragile e per un attimo i miei piccoli problemi di uomo svaniscano.
I cavalli sono il tramite per nostro viaggio nel tempo e ci ritroviamo in dieci sereni cavalieri, che per tre giorni dimenticano le loro storie per viverne una un poco più grande e che rimarrà nei nostri cuori per molto tempo. La magia dei cavalli che riescono a far apparire il meglio di ognuno di noi, nascondendo le nostre miserie e le nostre debolezze.
E’già domenica, l’ultimo giorno, ci svegliamo con un poco di tristezza, purtroppo sta per finire, la giornata passerà in fretta e poi ognuno tornerà a vestire i suoi panni di sempre fino alla prossima avventura.
Torneremo al nostro lavoro, alle nostre famiglie, ai nostri amici e faremo fatica ad ascoltare i soliti discorsi di sempre. I nostri pensieri continueranno a vagare giocando con i ricordi recenti, ci sentiamo un poco più soli e quando ci chiederanno come è andata, con molta umiltà risponderemo bene, molto bene.
Ma non andremo oltre.
Sarebbe inutile, non riusciremmo a spiegare né loro a capire perché certe sensazione le devi cercare e soprattutto condividere con i tuoi fratelli di avventura o con i Kamerati come dice un mio caro amico.
Spesso si discute su come spiegare che cosa è l’alpitrek, non è un associazione  sportiva, ne un club,  il nostro modo di vivere l’equitazione , e mille altre considerazioni ma alla fine conveniamo che ci sono solo due categorie di persone che si avvicinano a noi: quelle che dopo cinque minuti è come se fossero con noi da sempre e quelle che sai da subito che non torneranno mai più.
Grazie Mauro e a Voi tutti.

Primo giorno
Percorso: Da Brancard  al Santuario dl Selvaggio, Borgata Brando, Mattonera e  Picchi, Palè-Pian Gorai, Alpe di Giaveno, poco oltre lasciare il sentiero principale per seguire a DX in piano (segni rossi) in direzione della Rocca del Montone.
Il sentiero taglia il versante a DX poco sotto la cresta fino al Pian dell'Orso.
Prendere il sentiero  verso Fumavecchia (45 min) ma abbandonarlo quasi subito tagliando a DX per Monte Benedetto / Fumavecchia.
Dopo una lunga discesa si raggiunge Fumavecchia al di là di una carreggiabile sterrata. Seguire indicazioni per Pian Signori e poi finalmente le prime indicazioni per il Rifugio Val Gravio.
Nei pressi del Rifugio Gravio, a DX in discesa per Monte Benedetto fino a trovare una traccia che ci porta ad un guado praticabile,  si risale subito a SN seguendo il torrente fino ad incrociare il sentiero che arriva da Adret ed in pochi minuti si arriva alla meta.
Tempo impiegato: 11 ore
Tempo occorrente conoscendo il percorso: 9 ore circa.

Secondo giorno
Dal Rifugio scendere e ri guadare il Gravio per prendere il sentiero in discesa in direzione Monte Benedetto, arrivati nella borgata raggiunta dalla carreggiabile percorrerla fino a lasciare a SN la Certosa. Di qui due possibilità: risalire verso del Pian dell'Orso per poi scendere in direzione di Borgata Merlo e ci si ricongiunge con la via di salita, oppure (percorso segnalato) continuare per 18 Km circa fino a Villarfocchiardo utilizzando quando possibile le scorciatoie ben segnalate.
Dal centro di Villar, proseguire svoltando a DX in una stradina sterrata che segue i canali di irrigazione fino a S.Antonino.
Proseguire in  direzione di Cresto da dove inizia il sentiero dei Franchi.
Dalla Borgata Mura si sale   fino ad arrivare alla strada che porta al Colle Braida
poi verso Presa delle Rose, Pian Aschero , Selvaggio e finalmente Brancard.
Tempo impiegato: 9 ore
Impressioni:
Bella avventura  in compagnia di Indi e Brown. Insieme ai miei fedeli e silenziosi compagni abbiamo dovuto trovare il percorso più sicuro in un territorio poco frequentato.
Il paesaggio è stupendo e il tempo è stato meraviglioso, la serata con Luciano e i suoi ospiti piacevole. I ricordi degli anni passati al Rifugio cercando di vivere di Montagna sono riemersi. La melanconia a volte ha preso il sopravvento. E’ stato un periodo  importante della mia vita mi e dopo più di venti anni sono ancora a  cercare di scoprire qualcosa di me, a confermare quello stile di vita e quei valori che mi appartengono e a cui non posso fare a meno.